Tra il XII e il XIII secolo lo sviluppo degli impianti protoindustriali ad energia idraulica modificò il volto dell’Europa. Mulini, gualchiere, folloni e seghe idrauliche si moltiplicarono un po’ ovunque e, naturalmente, anche in area alpina non manca una ricca documentazione in tal senso. L’attuale mulino Varesio che presenta un impianto novecentesco di vera e propria archeologia industriale che non ha eguali in val di Susa ha inoltre alle sue spalle una storia ancora più lunga che affonda le sue origini nello stesso orizzonte cronologico tardo-medioevale dell’insediamento del borgo chiuso di Bussoleno. I signori dell’aristocrazia militare e i grandi enti ecclesiastici non perdevano l’occasione di controllare i mulini da grano per maggiormente poter condizionare i rustici e contadini che da loro dipendevano per il possesso della terra, per controllare le rendite agrarie e per creare legami sussidiari e obbligati a cui i contadini non potevano sottrarsi. In altre parole il controllo del mulino era una delle forme di coercizione e indirizzo più diffuse nel mondo rurale: i contadini non potevano ma dovevano macinare al mulino del loro signore, a rischio di multe e della perdita della farina. Il mugnaio era di nomina signorile e assumeva l’incarico vincendo un appalto, riscuoteva i diritti di molitura e rispondeva della buona conduzione del mulino al signore. La manutenzione, assidua e dispendiosa, era invece a carico del signore.
Per quanto non si conosca la data d’impianto del mulino da grano del borgo chiuso essa dovette essere di gran lunga precedente alla costruzione della cinta muraria. Infatti il mulino bannale risulta di esclusiva proprietà del consortile aristocratico bussolenese senza alcuna compartecipazione da parte del conte di Savoia che invece fin dal 1296 controllava nel villaggio il forno da pane. E’ pertanto verosimile che i mulini e le derivazioni dal torrente Gillardo fossero un elemento patrimoniale dei Borello-San Giorio o dei de Secusia fin dall’XI o XII secolo, di cui il conte non riuscì mai a venire in possesso e che mai il consortile cedette o condivise con il suo senior.
Se si tiene conto che i signori maggiori giungevano a distruggere i mulini dei loro concorrenti o a comprarli per poi ridurne il numero, solo la continuità d’uso che il consortile locale si seppe garantire per tutto il medioevo e l’età moderna pare condizione capace di spiegare la mancata bannalità del conte sabaudo in un campo dove non gradiva troppo la concorrenza e le iniziative altrui.
Ulteriore dato significativo è che Bussoleno in controtendenza rispetto ad altre comunità valligiane, da Susa ad Avigliana, non derivò gore o canalizzazioni dalla Dora in età medievale per azionare i suoi mulini, ma sfruttò i corsi torrentizi dei suoi affluenti con una sapiente ingegneria dell’acqua che garantì sempre la pratica molitoria e l’approvigionamento idrico dei coltivi e del borgo. Una derivazione diretta dalla Dora (oltre a non permettere più l’esclusione del conte dalla gestione dei mulini) avrebbe comunque aumentato i rischi d’esercizio per le variazioni di portata del fiume dal corso assai instabile e tumultuoso, nonché per il rischio di rovinose inondazioni con la distruzione dei manufatti e conseguenti, onerose ricostruzioni degli stessi.
Nel tardo medioevo vi erano in Bussoleno, in sponda destra, quattro mulini. Due nel querceto (ravoyra) che stava arretrando di fronte ai continui dissodamenti e altri due nel borgo chiuso. Tutti sfruttavano l’acqua del torrente Gillardo. Nel Quattrocento uno dei mulini della Ravoyra fu trasformato in follone per pannilana e in pista per la canapa; nel borgo un mulino da grano (l’inferiore) fu trasformato nella pista per l’olio di noce, di cui vi era in Bussoleno
una apprezzabile produzione, dopo aver funzionato brevemente a fine Trecento come macina per la senape (molendinum sinapisinum). La gora derivata dal Pissaglio, che dalla contrada di Barge si introduceva nel borgo chiuso mediante un bocchettone protetto da inferiata, attraversava così il settore occidentale del villaggio fortificato per poi scaricarsi in Dora oltre la cortina e il fossato settentrionali.
Il canale (rivale molendinorum) garantiva anche l’approvvigionamento idrico del borgo, non tanto ad uso alimentare per il quale si preferiva l’acqua dei pozzi, quanto per la nettezza urbana e il servizio antincendio. L’impianto bussolenese è anche l’unico in val di Susa che risulti collocato all’interno di una cinta muraria medievale.
Comune di Bussoleno - Testi di Luca Patria